29 maggio 2013

6 trucchi per fare del "porcellum" la legge perfetta

Francesco Pignotti

Come un fiume carsico, la questione della riforma della legge elettorale periodicamente riemerge all’onore della cronaca politica per poi tornare a nascondersi (forse) nelle stanze dei bottoni. Che qualcosa vada fatto, però, su questo non vi è dubbio alcuno. L’attuale legge elettorale viene comunemente chiamata “porcellum”, e se da una parte il nome sembra adatto per identificarla, dall’altra non rende giustizia di certi aspetti molto positivi della legge Calderoli.
Il porcellum infatti, nella versione per la Camera dei Deputati – fino ad un certo punto mi riferirò solo a quella versione - ha un grande, grandissimo pregio e, diciamo all’incirca, 6 piccoli o medi difetti che, corretti, lo renderebbero un’ottima e legge elettorale. Il grande pregio è, ovviamente, quello di assicurare – alla Camera, lo ripeto ancora per essere chiaro – un vincitore la sera stessa delle elezioni, una maggioranza ampia e certa che possa dar vita ad un governo stabile; assicura insomma la governabilità del sistema. Per quanto riguarda i difetti, provo ad elencarli e a proporre per ciascuno una possibile soluzione.

1) La mancata previsione di una soglia percentuale per l'ottenimento del premio di maggioranza, tanto che si parla addirittura di una legge a rischio di incostituzionalità. Ebbene, io credo che non serva affatto abolire il provvidenziale premio di maggioranza, bensì basterebbe stabilire la soglia del 40% per ottenerlo o altrimenti, se nessuna forza politica lo raggiunge, procedere al ballottaggio la domenica successiva al voto, tra le prime due forze classificate dimodoché chiunque ottenga il premio lo faccia col 50% + 1 dei voti validi espressi. Un premio che sarebbe dunque legittimato e pienamente costituzionale.

2) La previsione di liste bloccate lunghe e lunghissime che inficiano la democraticità del sistema e la libera scelta dell’elettore. Le circoscrizioni sono troppo grandi e, di conseguenza, le liste troppo lunghe. Basterebbe diminuire l’ampiezza delle circoscrizioni così da poter avere liste bloccate molto corte, come in Spagna, cosicché l’elettore possa individuare con semplicità i pochi nomi dei candidati presenti in lista e farsene un’idea. Altrimenti si possono reintrodurre i collegi uninominali, mantenendo il sistema proporzionale com’è adesso ma facendo esprimere gli elettori su singoli candidati di collegio collegati in liste circoscrizionali – il rapporto diretto tra elettore ed eletto sarebbe massimo.

3) La liberalizzazione delle candidature, ovvero pluricandidature, plurielezioni e gioco delle opzioni post-voto. Questa previsione è una vergogna. Non solo le liste sono lunghissime e bloccate, ma un singolo individuo può candidarsi in tutte le circoscrizioni italiane, potendo poi, dopo essere stato plurieletto, scegliere dove lasciare il posto a chi segue in lista e dove no. La volontà dell’elettore viene completamente calpestata. Beh, per questo basterebbe appunto introdurre i collegi uninominali o, con liste bloccate corte, vietare tassativamente le pluricandidature.

4) Un complesso e poco selettivo sistema di soglie di accesso, incentivo ad un'eccessiva frammentazione. Le soglie di sbarramento all’ottenimento di seggi sono davvero troppe e troppo permissive, a seconda che una lista si presenti da sola o in coalizione. Meglio sarebbe un’unica soglia per le liste, al 5% ad esempio, che corrano sole o in coalizione (senza ripescaggi!), ed una al 10% per le coalizioni.

5) La considerazione dei voti delle liste sotto soglia nel novero dei voti totali alla coalizione per l’ottenimento del premio di maggioranza. Come dire, sebbene una lista non superi la soglia e non ottenga seggi, i suoi voti sono comunque determinanti per la coalizione di cui fa parte per la vittoria finale del premio. E’ ovvio che le coalizioni saranno sovradimensionate e tenderanno a inglobare anche il più piccolo partitino, magari offrendogli in cambio un posto in una lista sicura. La frammentazione ne risente: questa previsione va cancellata.

6) Infine l’assenza di una adeguata disciplina di incandidabilità ed incompatibilità. Il problema di un parlamento invaso da candidati incompatibili con la funzione di rappresentante della nazione passa ovviamente anche dalla selezione ad opera dei partiti e delle forze politiche, ma certo qualche criterio più stringente non guasterebbe.

Un sistema così riformato manterrebbe il pregio di assicurare la governabilità e soffrirebbe meno di quei problemi di cui molti giustamente si lamentano.
Rimane il nodo del Senato, in cui l’assegnazione di 20 piccoli premi avviene a livello regionale, creando un folle meccanismo per cui il risultato delle elezioni è una vera lotteria.
Come fare, dunque? Beh, basterebbe abolire il Senato…!