21 aprile 2013

Ora basta, siamo stanchi: da dove deve ripartire il Nuovo Centrosinistra

di Francesco Pignotti

Ora basta, siamo stanchi di un centrosinistra incapace di proporsi come una valida alternativa in un quadro di democrazia maggioritaria basata sull’alternanza.

Siamo stanchi di una forza politica che si rifiuta di provare ad essere maggioranza nel paese, che si nasconde, che ha paura, che si rinchiude in se stessa e si trincera dietro una presunta purezza identitaria che non ha più senso di essere
propagandata e difesa in un mondo adulto e oramai affrancatosi da rigide contrapposizioni ideologiche.

Siamo stanchi di una classe politica che si rifiuta di provare a parlare ad un maggior numero di elettori rispetto a quelli da cui è certa di ottenere un “voto di appartenenza”, un’appartenenza che viene malinterpretata come sinonimo di superiorità morale rispetto a chi non ha sempre votato in modo da riconfermarla. Come se i voti di chi non ci aveva votato in precedenza contassero di meno. Io che pensavo che si dovesse conquistare proprio quelli per vincere.

Perché già, siamo stanchi di quegli esponenti politici che non hanno ancora capito come funzioni la democrazia. Che non hanno compreso che democrazia non significa recarsi nelle urne per uscirne con indosso sempre e comunque la stessa casacca, quella che solo gli incorrotti e fedeli sostenitori possono indossare, salvo poi aver inevitabilmente bisogno di concordare la partita a tavolino con i giocatori della squadra avversaria in Parlamento.

Siamo stanchi, infatti, di una dirigenza di partito incline per convinzione e socializzazione politica al compromesso consociativo, a quel consociativismo deleterio che da sempre è il male del paese e del centrosinistra italiano, incapace di proporsi come potenziale alternativa e vincitrice delle elezioni e che la costringe da sempre a rifugiarsi masochisticamente nelle grinfie parlamentari del nemico giurato, sia esso democristiano o berlusconiano.

Siamo stanchi insomma del complesso di inferiorità basato sul complesso di superiorità. Il centrosinistra non è moralmente superiore al centrodestra ed il centrosinistra può vincere e governare, come fa il centrodestra da sempre: le campagne elettorali non servono per ribadire a noi stessi quanto siamo belli e diversi da chi sbaglia, ma per convincere il cittadino elettore che noi potremmo fare meglio dei nostri avversari. Perché noi non vogliamo essere giudicati migliori degli altri, noi vogliamo vincere. Può apparire paradossale, ma se non smettiamo la nostra di veste di superiorità morale, se non cominciamo a sporcarci le mani, non ci convinceremo mai che possiamo farcela. La purezza ideologica e la superiorità morale sono comodi quanto inaccettabili alibi per restare immobili e lavarsene pilatescamente le mani. Sono solamente alibi. Perché in realtà abbiamo paura, di prenderci delle responsabilità, e di farlo da soli.

E’ in questo senso che noi siamo stanchi del premio della critica, noi vogliamo vincere le elezioni. E governare il paese. Da soli.

Ed è per questo che siamo stanchi di campagne elettorali incomprensibilmente giocate solo sulla demonizzazione di un avversario che poi sarà il nostro miglior amico di debito pubblico.

Perché siamo stanchi del debito pubblico che cancella il nostro futuro.

Siamo stanchi di rappresentanti che non hanno il coraggio di proporre in modo chiaro una visione del futuro, che non sono più in grado di raccontarci che la nostra sarà una bella storia, solo perché è venuta a mancare loro quella musa ispiratrice chiamata ideologia.

Siamo stanchi di chi ci ripropone continuamente il passato credendo di renderlo seducente ed adeguato con una semplice opera di restauro. Noi adesso vogliamo il futuro.

E siamo stanchi di chi continua a riproporci il passato solamente perché vuole riproporre se stesso. E non tanto – o non solo – perché interessato a benefici materiali, ma anche – e soprattutto – perché non può, non vuole o non riesce ad ammettere il proprio fallimento.

Perché noi siamo stanchi dei fallimenti. Di elezioni perse (ok, diciamo vinte male...) con 10 o 15 punti percentuali di vantaggio sul nostro avversario. Di campagne elettorali disastrose. Di attentati kamikaze ai nostri governi. Di divisioni, di scissioni, di lotte intestine. Il centrodestra è unito. Non mi interessa ora a che prezzo lo è. Voglio solo che lo sia anche il centrosinistra.

Perché siamo stanchi di apparati di partito così resistenti al cambiamento che qualsiasi progetto innovativo e lungimirante viene rapidamente distrutto.

Siamo stanchi di vocazioni maggioritarie che finiscono per trasformarsi nel giro di un lustro in larghe intese parlamentari.

Siamo stanchi di un partito ostaggio del suo apparato, che preferisce suicidarsi pur di non aprirsi e parlare ai cittadini, a tutti i cittadini, non solamente ai propri iscritti o ai militanti di lungo corso.

Siamo stanchi dei congressi di cui ci sfuggono le dinamiche, delle primarie chiuse e “congressualizzate”, delle gioiose macchine da guerra. E pure delle gioiose smacchiatrici da guerra.

Siamo anche stanchi di leader poco capaci di entusiasmarci, di appassionarci, di conquistarci. Di leader poco coraggiosi, poco comunicativi, che non ci emozionano e non ci trasmettono niente. Non dobbiamo avere paura della personalizzazione della politica. Perché se è vero che dietro l’uomo al comando c’è il collettivo, beh, io qui non vedo né un comandante né una squadra. E questo dovrebbe farci riflettere.

Siamo stanchi poi di una proposta politica poco coraggiosa, che si rivolge ai soliti noti, che garantisce tutele solamente a chi già ce le ha. Una proposta che non si rivolge a chi invece sconta tutti i giorni sulla propria pelle le difficoltà di una vita che rischia di diventare sempre più solo un’esistenza.

Siamo stanchi di un centrosinistra che non abbia il coraggio di riconsiderare il concetto di uguaglianza, nel terzo millennio. Uguaglianza significa stesse opportunità per tutti e premio al merito, senza demonizzare chi, partendo dallo stesso livello, riesce ad arrivare più avanti. Se travisiamo il significato del concetto di uguaglianza, richiamo di tarpare le ali al merito. E con esso allo sviluppo, alla crescita, al benessere, alla felicità.

Già, perché noi vogliamo un centrosinistra felice. Che ci renda felici.