24 aprile 2013

La lunga ombra di Margaret Thatcher: storia della “Iron Lady” - parte II


di Marco Saccardi


Breve storia del movimento sindacale inglese
Il sindacato dei minatori e lo stesso gruppo sociale e lavorativo di questi rappresentavano un pilastro della tradizione economica inglese. Furono i primi che si organizzarono nei primi sindacati e nella lotta per i diritti dei lavoratori, nel movimento "luddista" – che diede inizio alla sua opposizione contro la borghesia solo quando si ribellò con la violenza alle macchine - portato avanti dai minatori scozzesi intorno al 1812.
Questo tipo di opposizione inizialmente era isolato, limitato a determinate località e si dirigeva contro un solo aspetto delle condizioni di lavoro nelle quali vigevano. Nel 1825 furono abrogate delle Combination Laws dimostratesi impotenti di fronte all'Organizzazione "illegale" degli operai ed al riconoscimento del diritto all’associazione sindacale. Si formano immediatamente potenti organizzazioni sindacali. Ma queste associazioni e turnouts (scioperi) che ne derivano assumono un'importanza specifica in quanto rappresentano il primo tentativo degli operai di abolire la concorrenza. Esse presuppongono la consapevolezza che il potere della grande proprietà poggia unicamente sulla concorrenza degli operai tra di loro, cioè sullo spezzettamento del proletariato, sulla reciproca contrapposizione. Nel 1842 viene formulata la People's Charter, che riassume in 6 punti le richieste politiche essenziali del proletariato inglese, proprio grazie alle spinte delle associazioni sindacali dei minatori.

Thatcher vs. minatori
Il governo conservatore e la Thatcher, sfruttando anche l’incapacità del partito laburista di fare sua questa battaglia sindacale e portarla sul piano politico, come sarebbe stato lecito data la grande tradizione dei sindacati dei minatori all’interno del movimento operaio britannico, ridussero in condizioni disperate i minatori inglesi. Dopo queste misure scoppiò un enorme sciopero dei minatori, che le Trade Unions e il partito laburista non appoggiarono però pienamente. La politica liberista votata alla grande finanza della Thatcher portò in una dura condizione di povertà parte della classe lavoratrice inglese dell’industria. I disagi sociali in città come Manchester e Liverpool furono di grande portata. Spesso Margaret Thatcher viene a mio avviso erroneamente presentata come grande punto di riferimento del movimento femminista inglese e come promotore di una politica familiare. La Thatcher disprezzava le femministe, come più volte ha dichiarato ai media inglesi e in varie occasioni di manifestazioni sociali. “Odiava le femministe anche se è stato in gran parte grazie ai progressi del movimento che i britannici furono pronti ad accettare l’idea che un primo ministro potesse essere una donna” ha ricordato giustamente Morrissey, il cantante degli Smiths (autore di una delle Dieci canzoni “Odio Margaret Thatcher” “Margaret on the guillotine“). Le famiglie della working class inevitabilmente soffrirono molto la sua politica economica e ciò portò a una disgregazione del nucleo familiare tradizionale di grande portata. La Lady di ferrò si dimostrò particolarmente dura contro le azioni di picchettaggio promossi dagli scioperi del 1984, con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine che culminarono nella tristemente nella famosa la Battaglia di Orgreave, tra migliaia tra poliziotti e minatori. I dati ufficiali parlano di 93 manifestanti arrestati e 123 feriti totali. .Dopo un anno, il sindacato fu costretto a cedere senza condizioni. Contemporaneo allo sciopero dei minatori, ma più breve e meno violento, ci fu anche quello dei portuali britannici, che vide coinvolti circa 35.000 lavoratori. L'agitazione durò due mesi e venne fatta per solidarizzare in maniera concreta con i minatori.

L'euroscetticismo e la lotta all'IRA
Nel giugno 1984, al congresso per il bilancio finanziario europeo a Fontainebleau, Thatcher pronunciò la famosa quanto provocatoria frase "I want my money back!" riferendosi ai fondi agricoli della Comunità Europea riservati ai paesi membri, sottolineando la sua indole anti-europeista. A seguito soprattutto del provvedimento relativo ai fondi che favorì la Francia rispetto alla Gran Bretagna, inaccettabile per il primo ministro inglese. La sua battaglia in seno alla Comunità Europea portò a un drastico ridimensionamento del Regno Unito ai contributi europei nell’agricoltura. Introdusse inoltre una linea durissima nei confronti del movimento dell’IRA e nella gestione del problema relativo all’Irlanda del Nord, ignorando le denunce di persecuzioni nei confronti della comunità cattolica da parte degli irlandesi protestanti filobritannici. La sua posizione di netta contrapposizione priva di aperture le costò un attentato organizzato dall’IRA nell’ottobre del 1984 al Grand Hotel di Brighton mentre era impegnata in un Congresso del partito conservatore, da cui ne uscì illesa. Nel 1987 ottiene il terzo storico mandato come Primo ministro, prima volta assoluta nella storia dei governi del Regno Unito. Soprattutto per le divisioni del partito laburista e l’incapacità di questo di sfruttare i disagi sociali e lo scontento di molti anche liberisti nei confronti della Thatcher.

Dai diritti LGBT agli hooligans
Il suo governo si apre con la legge n.28, in seguito ad una apertura dei governi locali nei confronti dell’omosessualità che tollerarono aperte manifestazioni e organizzarono eventi in locali pubblici sul tema. Questa normativa proibiva la promozione dell'omosessualità nei luoghi pubblici (nonostante lei stessa avesse votato per la depenalizzazione di negli anni Sessanta), una legge che colpiva principalmente i gay bar e i locali frequentati dalla comunità britannica LGBT. Tento e riuscì ad arginare finalmente il fenomeno violento degli hooligans con una dura normativa, il rapporto Taylor, sugli stadi e proponendo il processo per direttissima nei confronti degli arrestati per comportamenti violenti. Il primo ministro conservatore accentuò la sua linea anti europeista opponendosi fermamente all’Unione Europea e soprattutto alla creazione della moneta unica, rifiutando inoltre gli accordi monetari proposti. Mossa che provocò una prima spaccatura all’interno del Partito conservatore nel quale vi erano alcuni simpatizzanti della linea europeista e il Ministro degli Esteri del suo governo Geoffry Howe presentò le dimissioni. 
 
Il lento declino
La sua popolarità sia all’interno del partito che nel resto del paese subì inoltre un duro colpo a causa di una frenata nella crescita economica (causata dagli alti tassi d'interesse) a causa della sua riforma del sistema fiscale, con la quale introdusse la cosiddetta Poll tax, una tassa calcolata in base alla popolazione uguale per ogni cittadino residente nel Regno Unito, che era in contrasto con il programma liberista. In questi anni furono ben visibili i frutti della sua politica: non la razionalizzazione della presenza pubblica in economia e nei servizi, quanto la svendita del patrimonio collettivo per consentire a torme di speculatori di realizzare superprofitti a danno della popolazione, provocando non solo disastri economici, ma anche per la rinuncia unilaterale del contratto sociale su cui si era basata la convivenza pacificata del dopoguerra e la conseguente creazione di ricettacoli in espansione del disagio e dell’emarginazione. Il 20 novembre 1990, mentre la Thatcher era alla Conferenza di Parigi, si svolsero le elezioni per la carica di leader del Partito Conservatore. Sicura di una sua vittoria e a causa del suo ego smisurato non intaccato dalle polemiche in seguito alla politica fiscale e insensibile ai problemi del suo partito, non rinunciò all’impegno. Il suo rivale Michael Heseltine, non raggiunse la maggioranza richiesta per soli 4 voti ed era quindi necessario un secondo turno. Fu un colpo durissimo inflitto alla Lady di ferro, che vide messa bruscamente in discussione la sua leadership. La situazione precipitò nelle ore successive, quando, rientrata a Londra, avviò delle consultazioni con gli stati maggiori del Partito, dopo aver annunciato che sarebbe rimasta a Downing Street. Nella notte, tuttavia, cambiò idea e decise di dimettersi da Primo ministro. Sostenne poi la candidatura del Ministro dell'Economia John Major, che al Congresso del partito vinse facilmente e le succedette come Primo Ministro. Le lacrime della Iron Lady che lascia il numero 10 di Downing Street chiudono un’epoca importante della storia britannica e che portano conseguenze di enormi portata.

Un'eredità pesante...una controrivoluzione conservatrice
Qualcuno ha parlato di “rivincita degli austriaci”, ovviamente contro John M. Keynes, al cui nome è legato il più grande esperimento di ingegneria costruttivistica coronato da successo della storia umana. In effetti, la vera rivincita conseguita da questi signori è quella contro il pensiero fondante della saggezza dell’Occidente: l’Illuminismo, nelle sue varie riproposizioni storiche, inteso come governo del “ramo storto dell’umanità” secondo kantiano “uso pubblico della ragione”. La considerazione degli storici inglesi del corso della storia come sviluppo del progresso è definitivamente tramontata e fallimentari ed arcaiche si sono dimostrate le interpretazioni positiviste di fine Ottocento rispolverate per spiegare gli eventi contemporanei. Di fatto la rivoluzione neoliberista ha portato a un nuovo oscurantismo, con il seguito delle disuguaglianze, fanatismi bellicisti e xenofobie varie che, mentre prospettavano “scontri di civiltà”, hanno determinato la crisi della nostra civiltà mascherandolo come Globalizzazione, ovviamente finanziaria. E mentre si pretendeva di americanizzare il mondo, il “sogno americano” andava a picco. Di questo dobbiamo essere grati anche alla Lady di Ferro, grazie alla quale, tra i tanti effetti sistematici della sua opera, uno tra i più inquietanti è la messa in crisi di ogni ambito istituzionale di governo. Certo lo Stato, ma anche per noi cittadini del Vecchio Continente il grande e generoso progetto dell’integrazione europea; il diffondersi di un euroscetticismo che spesso sfocia nell’”eurofobia”. Dopo oltre un trentennio siamo giunti alla fine della stagione neoliberismo. Il muro di Wall Street, tempio laico della superstizione monetaria, è crollato seppellendo sotto le macerie gli strumentari di latta con cui si pretendeva di manomettere la Storia. Scocca l’ora dei curatori fallimentari. A posteriori è possibile osservare come l’ascesa del thatcherismo piccolo borghese non abbia comportato l’emergere di una nuova “classe generale”, incarnazione e motore di un modello alternativo universale, quanto lo scatenamento del peggiore darwinismo sociale, che ha minato le stesse fondamenta della civiltà occidentale. Una controrivoluzione distruttiva che amava presentarsi come rivoluzione costituente ovviamente liberale nella quale la pulsione bassamente economicistica fungeva da priorità assoluta. Il suo avversario politico, il Partito Laburista, si è in gran parte snaturato dalle sue posizioni che, se prima erano troppo estremiste generando molte divisioni, con il nuovo leader succeduto a Major alla guida del paese, Tomy Blair, si sono rivelate troppo “thatcheriane”. Il partito ha pagato a caro prezzo l’esigenza di un leader carismatico, perdendo molto dal punto di vista ideologico. La stessa Thatcher successivamente continuò a criticare il partito laburista proprio perché una parte di esso osteggiava molte proposte del nuovo leader britannico. Giudicate di stampo troppo liberista ma che aprono alla stagione europea del grande centro moderato. L’eredità lasciata da Margaret Thatcher ci insegna che non vi è pertanto alcuna alternativa possibile a un capitalismo di mercato: l'economia viene rimossa dalla sfera della contestazione politico-ideologica. È l'affermazione forte che “There is not alternative”, che non ci possono essere alternative. In sostanza siamo alla “fine della storia”. Ma è proprio questa visione che storicamente non ha tenuto. L'ipertrofia del settore finanziario, la speculazione finanziaria, la crisi produttiva occupazionale che stiamo vivendo segnalano che questa visione politica genera instabilità e disuguaglianza.