7 marzo 2013

Le elezioni italiane e l'Europa

di Filippo Barbagli

Noi italiani siamo un popolo autocelebrativo, ci piace cullarci nell'idea che la nostra terra abbia dato i natali agli uomini più illustri della Storia. Poteva essere vero fino a qualche secolo fa, anzi, azzardiamoci, in certi ambienti, fino al secolo scorso. Ma il XX secolo, ed i primi decenni di quello attuale hanno regalato la celebrità internazionale a Mussolini, Berlusconi e da qualche giorno, Beppe Grillo (non parlatemi di calciatori, perché, con tutto l'emozionante rispetto, pur sempre di tirà du calci al pallone si tratta). Oggi Beppe Grillo tiene le sorti dell'Italia via Twitter. Chi tiene le sorti dell'Italia tiene quelle dell'euro. E sulle sorti della moneta unica si regge l'Unione Europea. E quindi il destino di 500 milioni di persone. Ed in ultima istanza quello del mondo.
Si salvi chi può.



Sono stato volutamente esagerato, ma tale climax mi serviva per contestualizzare le tre considerazioni che sto per esprimere. Esse vanno intese in un'ottica europea, nel senso di come le elezioni nel nostro paese, l'hung parliament da esse scaturito, s'inseriscano in questa particolare congiuntura storica che vede una crisi, quella economica iniziata nel 2007, o meglio i suoi effetti sul medio periodo, influenzare una resa di conti per troppo tempo rimandata: il futuro politico dell'Unione Europea.

Il lupo perde il pelo...ma non il vizio.
Prima, però, voglio esprime un giudizio di valore. Le motivazioni ci stavano tutte: la politica di austerità del governo Monti, gli scandali di una classe politica fuori dal mondo e priva di ogni ritegno, un'esasperazione delle ricadute sociali della crisi, la voglia di cambiamento, in un paese in cui i profeti del rinnovamento son figli delle istanze più conservatrici, che darwinianamente cercano di sopravvivere e perpetuare la loro esistenza. “Tutto cambia affinché nulla cambi” dicevano. Io lo scolpirei nell'art.1 della Costituzione.
Perché possiamo scagliarci contro chi ha rivotato l'uomo che ci ha portato alla rovina, dimenticandoci a-democraticamente che, purtroppo per chi la pensa in quella maniera, si trattava del candidato di un certo schieramento. Possiamo scagliarci contro chi ha votato il M5S, ma non ha senso. Giuste o sbagliate che siano le motivazioni, vanno rispettate. Per non cadere nello stesso errore del kapò del Movimento, un uomo dal cervello spappolato dai deliri di potenza, come tanti se ne sono visti in Italia, aihmé. Io son pronto al chapeau verso il M5S ed i suoi parlamentari, se mi dimostreranno di sapere lavorare per il bene del paese, e soprattutto a liberarsi del padrone. Freud diceva “uccidere il padre” come passaggio necessario verso l'autopercezione della maturità (psicologi e psichiatri mi scaglino massi interi se dico male). E' necessario. Perché è un uomo, come Berlusconi e Chavez, che trae il suo potere dagli attacchi dei nemici. Parliamo del più bieco e mero populismo. La santificazione, l'esaltazione del potere, fomentata dai “cattivi”, i coglioni che non condividono le tue idee, che cercano di ucciderci, anche, per usare parole di oggi, “sputtanarci”. Perché, mi rivolgo a tutti voi grillini, se avete votato M5S per scuotere questo paese agonizzante, tanto meglio, ma se ragionate in termini maniachei “noi siamo nel giusto, gli altri ci vogliono morti”, beh, potete annà a fanculo. Di razze elette, di aristocratici destinati al potere autoincoronati migliori governati, ne abbiamo già avuto fin sopra i capelli.

Resta un fatto ben preciso da queste elezioni. La maggioranza degli italiani ha rigettato in blocco la politica di austerità, prescritta da Monti e dai suoi ministri in lacrime. Chi scrive non è un economista, nemmeno presunto, e non m'interessa lanciarmi in apologie/invettive sul rigorismo. Però dobbiamo ricordarci un concetto fondamentale. Perché oggi con orrore si parla di inserire nelle costituzioni il pareggio di bilancio come obbligo da rispettare. Certo, passi l'idea che uno stato non può vivere troppo al di là delle proprie possibilità. Però, al contrario di una famiglia qualunque, uno stato ha il dovere di garantire l'esercizio di certi diritti per i suoi cittadini, così come la fruizione dei beni, e -ricordiamoci in questi tempi- il benessere fisico e materiale. Una politica di soli tagli, di spending-review, non porta a niente. Perché dai tagli soli non cresce nulla. Bisogna mirare a far crescere i settori-vettori da traino di un paese. E questi sono il mercato del lavoro, il welfare, l'istruzione, la ricerca e -nel nostro caso- le PMI. Togliere un solo soldo, senza ripensare in maniera strutturale i flussi di finanziamenti, in questi settori equivale ad ipotecare il proprio futuro. E noi siamo già messi male. Non fidatevi dei giornali economici anglosassoni o tedeschi, perché di solo rigore si muore, chiedete a Portogallo e Grecia.

E qui entra in giuoco la questione del voto anti-europeo: è un pericolo non trascurabile. Non perché l'UE sia incriticabile, pura e figlia di dio, ma perché accostare l'idea di rigore (=soffocamento), ai soliti grigi euroburocrati di Bruxelles, può creare fraintendimenti non indifferenti. L'Europa, e qui bisognerebbe che i leaders di sinistra dei paesi lo capissero (Francia, Danimarca ed ora Italia) deve avere il coraggio di ritornare ad essere “attraente”, di fare della crescita e del benessere le sue priorità, di offrire un modello sociale, basato sul welfare state, che garantisca il buon vivere dei suoi cittadini. L'Europa non deve essere un tribunale, una troika, che sentenzia esclusivamente tagli ed austerità.
Io parto da presupposti idealisti, ritenendomi un europeista. Ma anche volendo essere dei cinici e pessimisti realisti, ricordiamoci che da soli non andiamo da nessuna parte. Il XXI sec sarà il tempo dei giganti nel mondo, correndo da soli rischiamo di essere schiacciati come grilli su una strada di campagna.

Infine, per amor del vero, vale l'ultima considerazione. Alcuni commentatori hanno parlato di “effetto contrario” rispetto alle dichiarazioni di personalità politiche, a livello europeo od internazionale, sugli esiti del voto. E' vero, neanche a me Frau Merkel mi sta simpaticissima, e forse, guardando al clima sociale in cui si sono svolte le nostre elezioni, se fossi stato un politico dal minimo acume politico (perdonatemi!), avrei tenuto di più la bocca chiusa. E metto nel sacco anche il buon Martin Shulz (ti aspetto però a gloria come futuro presidente della Commissione!). Sempre per i soliti discorsi sul populismo. Però ricordiamoci che siamo tutti sulla stessa barca, che l'UE, ed in generale il mondo globalizzato, si basa su profonde interdipendenze economiche, e nel nostro caso, anche sociali e politiche. Così a noi dovrebbero interessare le elezioni in Germania e viceversa, l'ascesa dei nazisti microdotati in Grecia e le politiche ambientali in Scandinavia. Perché grazie all'UE oggi possiamo parlare di un livello infranazionale tra le culture ed i sistemi politici dei paesi membri, l'embrione di un futuro sistema federale. Le decisioni che verranno prese in Italia si rifletteranno su tutti gli altri. E lì si torna al pensiero con cui ho esordito.