6 marzo 2012

Svolta autoritaria in Ungheria? Da Jobbik agli sviluppi - parte 2

Il premier magiaro Orban con il Presidente della Commissione Barroso


Pannonia Felix?
La situazione ungherese delle ultime settimane è in continuo sviluppo. Il progetto di Orbán, di creare un modello mitteleuropeo nazionalista contro la crisi e contro i signori della guerra/capitalismo mondiale (mi perdoni, Madame Lagarde), non sta decollando, tanto che ha esplicitamente prospettato la possibilità di cooperazione con l'FMI pur di far uscire l'Ungheria dalla crisi. Nel frattempo la Commissione Europea ha avviato tre procedure d'infrazione nei confronti del paese magiaro, contestando le riforme sulla banca centrale, sul trattamento dei dati personali e sul pensionamento
anticipato (62 anni!) dei giudici. Ma niente voce grossa, come avrebbe dovuto fare considerato l'impostazione volutamente anti-minoranze – e quindi contro i criteri di Copenaghen per l'adesione all'UE-  del nuovo statuto ungherese. Il 20 gennaio invece a Budapest è stata organizzata una manifestazione a favore del primo ministro, con slogan che ricordano i tempi della Repubblica delle banane e dei suoi leaders rubacuori: “Vicktor ti amiamo!”. L'amore ai tempi dell'Europa insomma, versione 2.0. Tale vieille vague nazional-sentimentalista populista ha però perdonato il premier allorché la compagnia di bandiera Malév (prenota un volo!) ha chiuso i battenti per fallimento in poche ore: la colpa è del turno precedente. Chi vi ricorda?
In più, sembra che si sia formata una marcia di indignados di otto giorni verso la capitale, mentre a margine del Consiglio europeo di Bruxelles lo scorso 25 gennaio, l'incontro tra Orbán ed i vertici dell'UE
non ha portato ad un nulla de facto, tranne le solite raccomandazioni dell'Ecofin al governo magiaro. Tuttavia il 22 febbraio la Commissione ha deciso di congelare il 29% dei fondi di coesione per il 2013 al paese (circa 495 milioni di euro), citando in causa il mancato rispetto della disciplina finanziaria ed il tentativo di mascheramento del deficit che è sempre più ampio.


Una corona pesante
La Corona di Santo Stefano

Parlavamo di magiarismo esacerbato, ma avevo tralasciato volutamente una disposizione particolare. Essa non rappresenta una novità (era già presente nelle leggi post 1990), ma è stata impostata in una maniera particolare, ed aggiungerei emblematica di tutta la faccenda: simbolo nazionale del paese diventa la “Sacra Corona di Santo Stefano”. Da essa emana la sovranità della nazione, ed infatti è stata riposta nel palazzo del Parlamento. Alcuni studiosi hanno letto questo fatto come una sentenza nostalgica/nazionalista, volta ad incoronare simbolicamente la svolta della “nuova Ungheria”. Personalmente ritengo che questo obiettivo sia voluto, ma che vada inserito in un contesto storico e culturale più complicato, come tutta la questione di cui sto scrivendo. Ora, questo gingillo del XIII secolo di matrice bizantina ha un valore simbolico particolarmente importante per la storia del paese. Al di fuori di esso, i più avranno visto tale regalia solo in feuilleton mitteleuropei dove Romy Schneider e Karlheinz Bohm vengono incoronati sovrani dell'Ungheria,ma tuttavia la corona di Santo Stefano ricopre un ruolo tradizionalmente importante nella storia della sovranità del paese magiaro. La “nascita” dello stato ungherese infatti viene fatta risalire all'incoronazione del suo primo re cristiano, Stefano, nell'anno 1000: costui era figlio del capotribù degli Arpad, Geza, e di una donna turca. Dovendo scegliere tra Bisanzio e Roma, Stefano alla fine optò per l' “Occidente”, come avevano già deciso i suoi colleghi in Polonia e Boemia. Ispirandosi al regno del cognato, la Baviera, cristianizzò il paese, introdusse il latino come linguaggio dell'amministrazione ed il servizio militare obbligatorio, istituì un sistema di contee e di arcidiocesi che sono tutt'ora presenti. La scelta di Stefano ha quindi avuto un carattere fondamentale per la storia e la geopolitica del suo paese: gli ungheresi sarebbero diventati un popolo dell'alfabeto latino, dell'Occidente, una volta entrati nel grembo di Santa Romana Chiesa. E Roma non dimentica: Stefano è stato canonizzato come santo patrono dell'Ungheria (oltre che dei muratori!). I suoi discendenti espansero i domini del regno, spesso grazie anche a matrimoni tra famiglie reali: così il caso della Croazia, “ereditata” nel XII secolo. Dunque nel medioevo l'Ungheria divenne una potenza regionale, controllando le terre dalla Dalmazia alla Transilvania. Testa di ponte tra l'Imperium Romanum Sacrum, la Russia, il nascente impero ottomano e la Basileia Rhōmaiōn di Costantinopoli, il regno magiaro prosperò economicamente, grazie anche al suo carattere multietnico: minoranze rilevanti erano gli slovacchi della Moravia, i romeni, i tedeschi della Transilvania (originari della Renania già all'epoca sovrappopolata, chi vi ricordano?), i croati, i serbi e gli ebrei. Il re Carlo I Roberto d'Angiò, per integrare il paese nel sistema economico europeo, in accordo con il re di Boemia, adottò una nuova moneta d'oro, il fiorino, che sussiste tutt'oggi. Evidentemente all'epoca la potenza economica di Firenze e dell'Italia faceva scuola, sic. Da notare che Carlo I divenne effettivamente re d'Ungheria nove anni dopo la sua proclamazione, nel 1310, allorché fu incoronato per la terza vola, ma in quell'occasione con la corona di Santo Stefano, prima in mano a dei nobili ribelli. La tradizione costituzionale ungherese implica difatti che la corona è titolare di personalità giuridica: non si era re d'Ungheria senza essere incoronati legittimamente come sovrani, senza possedere fisicamente l'oggetto-corona dalla quale emana la sovranità della stessa nazione, in quanto stato nato storicamente con l'imposizione della corona sul capo del primo re. Ecco spiegata l'importanza che tale oggetto ricopre nell'immaginario collettivo, nel sentire nazionale degli ungheresi.

Le radici dell'odio e del populismo filofallico
L'antico regno di Ungheria, al suo massimo splendore, veniva chiamato appunto “Terre della Corona di Santo Stefano”, per sottolineare l'unione personale tramite cui il monarca magiaro era anche sovrano della Croazia, della Lodomeria, della Transilvania e così via. L'antico regno raggiunse paradossalmente la massima estensione quando era soggetto al dominio asburgico, più precisamente dopo l'Ausgleich del 1867 e la nascita dell'Österreich-Ungarn. Le Terre della Corona di Santo Stefano si estendevano allora da Fiume fino alla Transilvania più profonda, dai Carpazi alla Voivodina. La conformazione del regno la possiamo rivedere ancora oggi nei poster propagandistici di Jobbik. Del terzo partito ungherese ci si può fare un'idea partendo dal nome. Quello ufficiale è “Jobbik - Magyarországért Mozgalom/Movimento per un'Ungheria migliore'', dove Jobbik è la sigla del gruppo di giovani universitari che nel 2002 ha fondato l'Associazione dei Giovani di Estrema Destra (« Jobboldali Ifjúsági Közösség »). Inizialmente alleato del Partito della Giustizia e della Vita, di cui ha fatto proprie alcune issues come il nazionalismo razzista od il mito della “Grande Ungheria”, Jobbik ha attuato il suo salto di qualità negli ultimi anni, forte in primis della sua opposizione al governo socialista di Gyurcsány, della sua retorica populista che sconfina dal magiarismo all'anticomunismo, dall'intolleranza verso i rom fino all'antieuropeismo calzante nella popolazione (condizione comune a molti paesi dell'Est dopo la sbornia dell'adesione del 2004).
Un manifesto di Jobbik: si può notare lo stemma imperiale dell'Ungheria asburgica, l'Ungheria moderna mortificata in nero entro i confini delle Terre della Corona di Santo Stefano con lo sfondo della bandiera degli Arpad, prima dinastia reale magiara.

Come tutti i partiti populisti,xenofobi e razzisti Jobbik si è autoproclamato paladino del tema dell'ordine pubblico e nel 2007, grazie anche alla vasta sfiducia verso la polizia, ha creato la Guardia Nazionale Ungherese, un'organizzazione paramilitare di camice brune ed effigie imperiali, giudicata in seguito fuorilegge ed incostituzionale, ma rinata sotto forma di associazione di servizio civile. Le nere elezioni europee del 2009 hanno incoronato Jobbik come terzo partito del paese (14,8%), e con quelle parlamentari del 2010 (circa 16%) il movimento è entrato per la prima volta nell'assemblea legislativa ungherese. Pochi l'hanno scritto, ma per una formazione partitica nata nel 2003 si tratta di un vero e proprio successo. Personalmente leggo nell'irresistibile ascesa di Jobbik diversi fattori, partendo ovviamente dal presupposto che stiamo comunque parlando di un 16%, non dell'Ungheria nella sua totalità. Primo elemento è l'aggancio alla retorica magiarista dell'irredentismo, della protezione degli ungheresi fuori confine, del peccato originale della “mutilazione” del paese con il Trattato del Trianon del 1919, che nel bene e nel male, è un ricordo ancora vivo nella memoria collettiva della nazione. In secundis bisogna considerare la cavalcata delle deriva securitaria della dialettica politica, e quindi le conseguenti impostazioni xenofobe ed anti-rom, senza contare lo squadrismo latente della Guardia Nazionale Ungherese. In terzo luogo possiamo collocarci un bel hangover conseguente all'ingresso nell'UE, all' “età delle promesse mancate”: dopo tanto ottimismo europeista, la burocrazia tentacolare di Bruxelles e l'assente slancio economico sono stati mischiati dalla retorica populista. Quarto fattore è un fertile antisemitismo in un paese dove gli ebrei coincidono con le classi sociali abbienti (libere professioni etc), e soprattutto dove, tra regimi autoritari prima fascisti e poi sovietici, l'intolleranza verso gli ebrei non è mai diventata un tabù sociale. In quinto luogo Jobbik rappresenta anche gli interessi dell'Ungeria rurale, per definizione anche la più conservatrice. Ultimo elemento è appunto l'avvento della crisi economica che ha favorito -in tutto il mondo- movimenti extraparlamentari,antisistemici ed estremisti, portatori di vecchie ideologie liftingate e spacciate per nuove soluzioni globali. Tutte queste componenti caratterizzano il Jobbik come uno dei partito modello per l'estrema destra populista europea, ed i discorsi dei suoi leaders sono facilmente paragonabili a quelli pronunciati dai colleghi del Front National, del BNP, della Lega Nord e così via. Il “celodurismo” di Bossi sembra aver infettato un po' tutti, e nel caso pannonico si traduce tenendo conto degli elementi sistemici della dialettica politica ungherese, come appunto l'antisemitismo latente. Così Krisztina Morvai, delfina del leader/facciata “buona” Gábor Vona, appena eletta al Parlamento di Strasburgo nel 2009, ha risposto che gli ebrei che l'avevano criticata per i suoi discorsi razzisti durante la campagna elettorale dovevano tornare a giocare “con i loro piccoli cazzi circoncisi”. La signora, almeno in passato, deve essere stata una vera cultrice della materia, per essere così sicura delle sue infelici affermazioni, che comunque ci forniscono l'indizio di come determinate retoriche populiste possano assestarsi su binari squallidi. Ma infatti, anche per noi in Italia, non è una novità.

Amara democrazia o deriva destrista?
Insomma, il regalo di Jobbik all'Ungheria è stato quello di peggiorare la dinamica della politica ungherese, influenzandone negativamente la dialettica: il cambiamento di Fidesz in partito antieuropeista e portatore degli interessi degli ungheresi d'oltre confine costituisce l'esempio più emblematico. Ho già espresso sopra i fattori che ritengo responsabili del successo di Jobbik, e quindi della radicalizzazione di certe issues nel discorso politico magiaro. Ma vorrei aggiungere altre brevi considerazioni personali. Penso di aver già descritto un sintetico quadro storico-culturale che vorrei tuttavia completare: la retorica securitaria,nazionalista ed anticomunista di Orban e Vona deve essere contestualizzata tenendo conto che tali ideologie trovano terreno fertile nel presente ungherese, non condizionato da un passato traumatico fascista, o meglio, più influenzato dalla dittatura sovietica e dai ricordi che essa ha lasciato (situazione condivisa con molti altri paesi dell'Est europeo). Sintetizzando, la memoria collettiva magiara è stata lacerata in misura maggiore dai carri armati a Budapest nel '56 più che dal Partito delle Croci Frecciate. Mi riferisco infatti al periodo di dittatura nazifascista ('44-45) di Ferenc Szálasi, promossa dai nazisti che vedevano nelle camice brune (chi vi ricorda?) delle pedine da usare, come i repubblichini di Salò. In più questo breve regime si era innestato su di un altro, sempre di stampo autoritario ma non propriamente squadrista, dell'ammiraglio Horthy. Costui era divenuto reggente dell'Ungheria dopo il Trattato del Trianon, poiché la monarchia non era stata formalmente abolita. Alcuni commentatori hanno paragonato il progetto politico di Orban a quello di Horthy: mi sembra una forzatura voluta, ma comunque un fondo di verità è innegabile. L'Ungheria post 1919 era uno stato umiliato dalla sconfitta, privato dei due terzi di territorio rispetto alle Terre della Corona di Santo Stefano, senza più sbocco sul mare (la Croazia), con 3 milioni di ungheresi, e circa il 605 delle risorse agricole, industriali e finanziare disperse nei nuovi paesi sorti dalle ceneri dell'impero. Questi fattori influenzarono in maniera determinante la coscienza collettiva ungherese, ed anche la sua secolare impronta multietnica, già minata dal nazionalismo trionfante del XIX sec., ricevette il colpo di grazia con il wilsonismo e la retorica del paese mutilato. Così il regime di Horthy si basò su tre pilastri, quali il nazionalismo/magiarismo esasperato, il mantenimento della struttura sociale fondata  sulle grandi proprietà terriere dell'aristocrazia, l'alleanza con l'ultraconservatrice chiesa cattolica, soprattutto dopo l'esperienza dell'Ungheria leninista di Bela Kun. Potete notare notevoli affinità con la situazione di oggi, a mio parere.
Comunque mi trovo in disaccordo con un mio professore, che proprio oggi sosteneva come quello che sta succedendo a Budapest non siano affari nostri, a maggior ragione quando le riforme sono promosse da un governo legittimato da una solida maggioranza. Non metto in discussione tale principio fondamentale, né credo che la situazione rappresenti un ritorno del fascismo pulito dal puzzo di letame, ma sono profondamente convinto che l'Unione Europea debba essere più intransigente, per due semplici motivi. Il primo è che l'Ungheria è entrata a far parte dell'Unione, quindi stiamo parlando comunque di questioni che ci riguardano, allorché si tratta di provvedimenti che riguardano nostri concittadini. Se Orban non vuole che l'Ungheria sia giudicata dal resto dell'Europa, faccia uscire il suo paese, prendendosene le conseguenze (e restituendo tutti i soldi dati dal PHARE e dai fondi europei nel corso di vent'anni). Il secondo è la considerazione del fatto che certe leggi possono essere contrarie ai principi dell'Unione, oppure che l'approccio verso le minoranze ungheresi dei paesi confinanti è una questione che riguarda più membri della comunità.
E' possibile che questa carica di Orban si esaurisca come è successo qualche anno fa in Polonia dei gemelli Kaczyński, quando in molti vaticinarono l'instaurazione di un regime clericale, paura che poi non si è concretizzata.
Quello che sta succedendo in Ungheria è la manifestazione più vistosa di un processo più complesso e più generale, che sta coinvolgendo l'Europa. Si tratta dell'affermarsi di governi populisti, sia a livello teorico che pratico. Le cause sono molteplici, dalla fine del sistema bipolare a risposta localista alla globalizzazione, dalla crisi economica alla questione dell'immigrazione, fino allo stesso discorso autoindotto sulla propria identità da parte del popolo europeo. Che poi dietro si nasconda un'onda nera, beh, quella è la sfida su cui devono concentrarsi le istituzioni europee. In certi paesi può essere più forte, proprio perché alcuni hanno vissuto in misura maggiore il trauma della dittatura sovietica (che tendono erroneamente ad identificare con il comunismo), e non c'è stato un percorso di riflessione sull'estremismo di destra. L'Europa ha l'imperativo morale di intervenire, qualora qualsiasi ideologia politica che si afferma in un paese, mina alla tutela dei diritti fondamentali ed alla libertà dei cittadini.
La democrazia, la libertà, lo stato di diritto non sono e non saranno mai pilastri intoccabili. Vanno preservati, difesi. La Storia ci ha insegnato come l'appeasement arreca solo danni.

Durante il regime delle Croci Ferrate, non essendoci un capo di stato incoronato, formalmente la carica sarebbe stata assunta dalla patrona dell'Ungheria, niente popò di meno che la Vergine Maria. Ora, in quegli anni decine di migliaia di persone perirono a causa dell'Olocausto sponsorizzato dalla dittatura. Indi per cui, legalmente parlando la Madonna sarebbe perseguibile per crimini di guerra e contro l'umanità. Certo, i simboli in politica contano, ma come sempre, sono gli interessi a determinarne l'importanza.