12 gennaio 2012

Svolta autoritaria in Ungheria? o deriva "destrista"? parte 1

Tutto il mondo è paese con gli slogan: proteste a
Budapest per l'entrata in vigore della nuova Costituzione
il 1 gennaio 2012
Teoricamente il nostro blog si prefigge degli obiettivi di serietà se non quasi divulgazione, almeno delle nostre conoscenze riguardo ad argomenti specifici, perciò, considerando l'argomento che sono in procinto di introdurre, cercherò di mantenere un atteggiamento super partes ed eviterò di usare un linguaggio, diciamo colorito, soprattutto nel riferirmi a certi personaggi ed alle loro ideologie.
Non vorrei essere accusato di discriminazione contro persone diversamente intelligenti.

Auf dem schönen Schwarz Donau – Sul bel Danubio nero
Negli ultimi tempi si è discusso molto sull'entrata in vigore della nuova costituzione ungherese, un
evento divenuto il caso emblematico della presunta svolta autoritaria nell'antica Pannonia. Tali critiche e preoccupazioni espresse su tale tematica s'inseriscono in un sottofondo ben più ampio, già largamente trattato dalla stampa: l'ascesa e la popolarità dei movimenti di estrema destra nel paese dei discendenti di Attila. Alcuni giornalisti ed intellettuali parlano di “fantasmi”, degli strzyga che s'insinuano nelle cantine e nelle soffitte delle città mitteleuropee, per riportare in auge idee pericolose, xenofobe, intolleranti, antisemite. Premesso che chi scrive non crede né vaticina l'avvento di nuove dittature mitteleuropee a seguito di un'onda nera, credo che bisogna focalizzarsi su una possibilità più realista, nel contempo più inquietante: la deriva populista o
“destrista” che alcuni paesi, in primis le nazioni uscite da appena due decenni dal giogo sovietico, rischiano di intraprendere allorché i loro governi, per una serie di fattori tra quali l'inasprirsi della dialettica politica o la debolezza politica, cooptano issues tipiche dell'estrema destra e/o del populismo autoritario nella speranza di ottenere più consensi. Nell'ultimo decennio i casi più vistosi sono stati quello della Polonia dei gemelli Kaczyński ed adesso dell'Ungheria di Viktor Orbán. Contano comunque delle considerazioni di partenza. La prima è che -al di là del caso specifico dell'ex Jugoslavia- tutti questi stati hanno vissuto per oltre quarant'anni le dittature imposte dall'URSS ed una volta che queste sono cadute con le rivoluzioni del 1989, i movimenti di estrema destra sono stati favoriti nello spettro ideologico dalla demonizzazione dell'estrema sinistra: il contrario di quello che è successo nell'Europa Occidentale, dove i partiti comunisti più “soft” talvolta sono entrati quasi nelle compagini governative, mentre l'estrema destra è stata ostracizzata e relegata agli ambienti extraparlamentari. Il secondo caso è più di matrice storico-culturale, nel senso che i partiti ed i movimenti nazional-conservatori (ai quali non associo nessuna valenza negativa, per essere chiari) di quei paesi hanno le loro radici in un humus sociale ed atavico, soprattutto nel caso magiaro di cui sto per occuparmi. 

Budapest, anno zero?
Il premier Viktor Orban
Qualche giorno fa, sul “il Giornale”, un giornalista enormemente famoso si è lanciato in una difesa del premier ungherese Orbán, paragonando il suo progetto politico “rivoluzionario” a quello dell'ormai tramontato Berlusconi (andate QUI). L'articolo, che mi fa credere che potrei dirigere anch'io un quotidiano, è in realtà una panoplia di antieuropeismo gratuito, populismo spicciolo, demagogia berlusconiana con echi sanfedisti. Non rimane che chiedersi come si è arrivati a questo punto. Nell'aprile del 2010 il partito di centrodestra Fidesz (nato come movimento giovanile anticomunista nel 1988, come Fiatal Demokraták Szövetsége – “Alleanza dei giovani democratici” ed oggi “Piattaforma civica ungherese”) ha stravinto le elezioni parlamentari guadagnando una maggioranza assoluta di 263 seggi su 386. Tale risultato era dovuto alla totale sfiducia verso il primo ministro dimissionario Gyurcsány ed il suo Partito Socialista Ungherese (MSZP), accusati di malgoverno e corruzione. I risultati furono alquanto sorprendenti, paragonati a quelli delle precedenti elezioni: Fidesz era passato da 164 a 263 seggi, il MSZP da 190 a 59, tallonato dall'exploit di Jobbik, quelli del “ce l'abbiamo duro de noattri” (di cui parleremo fra poco) che entrava per la prima volta in parlamento con 47 seggi. Dunque Fidesz aveva i numeri necessari per governare senza problemi ed attuare le tanto decantate riforme strutturali. “Nuovo” (già in carica alla fine degli anni novanta) primo ministro è divenuto Viktor Orbán, politico calciatore pupillo della Soros Foundation. Egli si è fatto prendere dal sacro fuoco del mandato conferitogli dal popolo, quest'entità associata alla mera maggioranza di una nazione tanto esaltata dagli aedi leccapiedi dei poemi epici berlusconiani, ed ha subito partorito una legge sui mass media con tendenze nordcoreane che si basa sui seguenti punti:
  • Multe salate per chi scrive articoli non “equilibrati politicamente”. Il discrimen è stabilito da un Garante per l'informazione, ovviamente nominato dal governo. Son previste multe anche per chi scrive, sempre secondo il Garante, delle informazioni “lesive agli interessi nazionali” od alla “dignità umana”.
  • Obbligo per i giornalisti di rivelare al governo tutte le loro fonti qualora si parli di articoli che interessano la sicurezza nazionale.
  • Soppressione di tutte le redazioni indipendenti di tv e radio con conseguente centralizzazione verso l'Agenzia di Stampa governativa come unico primo fornitore delle informazioni a tutti i media nazionali.
Non contento, Orbán ha mandato un questionario a quasi un milione di cittadini chiedendo le loro opinioni su diversi argomenti che Fidesz stava analizzando nel redigere la bozza di una nuova costituzione. Infatti l'Ungheria era l'unico paese che non aveva cambiato ancora la sua legge fondamentale dopo il crollo della cortina di ferro, mantenendo la Carta del 1949. Chapeau! Personalmente plaudo all'iniziativa, eccezionale in questi tempi, sebbene si limitasse solo al 10% della popolazione e riguardasse principalmente solo 12 temi. Tra essi, la difesa di valori comuni, il limite di indebitamento dello Stato, la possibilità per i genitori di esercitare il voto in nome dei figli minorenni che è stato uno dei pochi fortunatamente respinto. Quindi ad aprile il primo ministro, forte della maggioranza del suo partito,dell'autoproclamata investitura popolare e della demonizzazione di Jobbik come bestia nera della vita politica ungherese, ha fatto passare all'Assemblea Nazionale il testo controverso della nuova costituzione, mentre l'opposizione si divideva con il MSZP tacitamente d'accordo e poco combattivo. Un po' come il nostro PD.

La nuova costituzione ungherese
La nuova costituzione è entrata in vigore lo scorso primo gennaio. Una traduzione provvisoria in inglese potete trovarla QUI. Il testo è stato votato il 18 aprile 2011, con 262 voti favorevoli e 44 contrari: il maggior partito d'opposizione, il MSZP si è astenuto, mentre i membri di Jobbik hanno votato contro. Il governo e Fidesz avevano più volte dichiarato che sarebbero andati avanti nel processo di cambiamento e di approvazione della nuova costituzione, non considerando che magari per “rifondare” un paese bisogna essere almeno quasi tutti d'accordo, e non appoggiandosi ad una temporanea maggioranza elettorale. La carta quindi è frutto della visione etico-morale della coalizione governativa (Fidesz ed il partito cristiano democratico): nazionalista, sociale conservatrice e cristiana. L'esordio è esemplificativo: il paese perde la dicitura nella propria definizione di “repubblica”. Si trasforma così da Magyar Köztársaság (“Repubblica di Ungheria”) a Magyarország (“Ungheria” o meglio “paese magiaro”, eventuali lettori conoscitori della lingua ungherese sono pregati di correggermi). L'idea xenofoba, dal sapore un po' retrò, che vede una nazione autodefinirsi in base alla sua etnia, è figlia di una dialettica che nel dibattito politico ungherese è molto presente e sembra aver prevalso. Quasi volesse essere un avvertimento contro la minoranza rom (il 2% della popolazione), e gli ebrei (circa 100'000). E' qui che entra in gioco il discorso che postulavo all'inizio, parlando delle “cattive influenze” che certi movimenti estremisti possono apportare al bios della politica.
Segue un'apoteosi nel nazional-conservatorismo e del populismo: protezione del magiarismo (massima tutela della lingua e dell'idea di grande nazione ungherese, estensione della cittadinanza ungherese tramite lo ius sanguinis, etc), mantenimento della moneta nazionale, il fiorino, definizione di matrimonio come istituzione tra uomo e donna, restrizioni all'aborto e “protezione della vita” sin dal concepimento, proibizione della clonazione umana. Non è finita: il lavoro viene trasformato da diritto a dovere (come in epoca staliniana), leggi, un avvertimento verso i rom, come se fossero tutti nullafacenti. Infine, il sistema dell'Ombudsman viene abolito, rendendolo a carico del singolo cittadino.
La demagogia contro la crisi trova il suo apice: obbligo di una maggioranza di due terzi dell'Assemblea Nazionale per l'introduzione di nuove tasse (ora al 16%, uguali per ogni ceto sociale) e la possibilità per il Presidente della Repubblica di sciogliere il parlamento qualora, entro il 31 marzo di ogni anno, la nuova legge finanziaria non venga approvata. Peccato che, come succede dappertutto, solitamente alla legge finanziaria vengano allegati altri disegni di legge “scomodi” che la maggioranza vuole far approvare a tutti i costi. Comunque il parlamento potrà unicamente adottare una legge sul bilancio che non aumenti il livello del debito pubblico, e non potrà ricevere prestiti che superino la metà del PIL dell'anno precedente. E le banche sono state tassate.
L'insofferenza dell'attuale maggioranza politica contro gli altri poteri si è tradotta nella riduzione dei poteri della Banca Centrale di Ungheria e soprattutto verso la Corte Costituzionale, la quale non potrà pronunciarsi in materia di leggi di bilancio statale e fiscali.
La Costituzione è stata approvata nel semestre in cui l'Ungheria ricopriva la presidenza del Consiglio dell'Unione Europea. Orbán dichiarò allora: “noi non crediamo nell’Unione Europea, crediamo nell’Ungheria, e consideriamo l’Unione Europea da un punto di vista secondo cui, se facciamo bene il nostro lavoro, allora quel qualcosa in cui crediamo, che si chiama Ungheria, avrà il suo tornaconto” Parole gravi normalmente, gravissime visto la posizione che ricopriva. A dicembre del 2011 è arrivato a definire Bruxelles come Mosca, cioè a paragonare i vincoli dell'Unione ai tentacoli dell'URSS.
Un'altra chicca risaliva a maggio, quando il parlamento ha votato una nuova legge sulla cittadinanza, in linea con la Costituzione da poco approvata: essa prevede la concessione della cittadinanza magiara alle minoranze ungheresi d'oltreconfine (un milione e mezzo in Romania, 500'000 in Slovacchia, e migliaia in Slovenia, Croazia ed Ucraina). Per ottenerla basta dichiararsi di identità ungherese e dimostrare di conoscere la lingua. Bisogna aggiungere che la maggior parte dei diritti civili si hanno grazie anche alla possessione della residenza, ma le legge si fa comunque portatrice di un gesto simbolico pesante e sicuramente non di buon vicinato con i paesi limitrofi.




(continua..)

BARBA